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RACCONTI D'INFANZIA DI PEPPINO FAZIO

Updated: Jan 8, 2022

Questo e' stato il mio primo racconto sulla mia vita. Fu pubblica allora da FALBO CAST. di Luigi Falbo.













Chi non ricorda nei primi anni 50 la forte emigrazione? Quando si partiva, lo si faceva a massa. Io ricordo che per permettere a mio padre Francesco di emigrare in Canada, come altri nostri compaesani, bisognava che tutta la famiglia passasse "IL VISTO". Ricordo che andammo fino a Napoli per questo. Ero piccolissimo. I vari Silletta, Marino, Greco, i cugini Pietro e Saverio Aiello, Paniellu, Risulia, Fiore u Cralice e tantissimi altri. Tutta gente che dietro un mezzo contratto di lavoro sognava di lasciare la miseria del paese per promettenti terre. Chi si preoccupava di far avere i biglietti dei treni e della nave con REGOLARE PASSAPORTO era Rosario Spadafora "U SALINARU", un nostro compaesano molto attivo!! Anni or sono in una mia visita al paese quando lo incontrai, lo salutai in modo caloroso. Mi ricordava mio padre. E lui vedendomi mi fece:" emmé u figliu e Franciscu u Sciualu. Lo abbracciai come se fosse mio padre in quel momento. Tu hai fatto partire mio padre non é vero zio Rosario? E si caro nipote. ”Sai quanti ne ho fatto partire? Centinaia!! Aveva ragione: purtroppo molti non ci sono più gli dissi, e alludevo a mio padre, a Saverio Greco, a Francesco Durante, a Giuseppe Aiello U PANIELLU e a Silletta. Lui chinando il capo mi fa: "Questa è la vita caro nipote". Ricordo che partivano di notte!! Quasi per non disturbare, per non distogliere i vicini, anche se poi i più intimi non andavano a letto finché non sarebbero "CULLATI E RA CURVA E SANTU LINARDU. Su un camion forse un 15, accanto alla porta caricavano i grandi bauli carichi di cose personali, cose che sarebbero servite nella nuova terra, strapieni di ricordi di quella unica stanza che gli era servita da cucina, camera da letto per piccoli e grandi, per QUALCHE GALLINA e (con rispetto..) da mezzo bagno! Io, appena di sette anni, ho assistito alla partenza di Peppino Marino (cugino carnale di Luigi Lamanna!!) che ora vive in Ontario. LUI ERA GIA’ NEL LETTO, MA NON DORMIVA ANCORA. AVVERTIVA ANCHE LUI CHE QUALCOSA SAREBBE CAMBIATO NELLA SUA VITA. Ci saremmo lasciati!! Erano già le otto e mia mamma mi fa: "Salutati con Peppino. Nonostante la piccola età, sentivo e capivo che non ci saremmo visti mai più. Lo abbracciai a lungo. senza dirgli niente.

2. La mattina dopo la partenza di Peppino Marino, quel pezzo di Vianova che va tra ‘a curva e Dorru e la curva e ri Garagi sembrava un cimitero. Non potendo dormire mi alzai presto, mangiai la solita ‘SUPPA" (il latte lo portava prestissimo a "COLOMITARA") e andai a scuola con poca voglia. Peppino era nella mia classe. Vedendo il suo posto vuoto, lascio a voi immaginare quello che sentivo in quel momento. Per fortuna si fece mezzogiorno (allora erano 4 le ore di scuola). Tornando a casa mi imbattei con i due Luigi Mangone: "Luigi u rànne", che abitava pure lui alla via nova e "Luigi u picculo" detto pure "u riàvulu". Parlammo della partenza di Marino e Luigi u rànne mi fa: "PEPPI" VIRA CA PARTIMU PURU NUE, FRICATE. Ed io dissi, "mo partiti tutti quanti!!". E si, partirono in molti in quegli anni. Triste realtà. Partì Peppino "SCACCHETTU", ora con me a Montreal, Sabellina e Porziella la mia cuginetta. Partirono tutti I BOSCHI, i Lamanna, che abitavano un po’ più distanti da me e tantissimi altri. Malgrado tutto, il paese sembrava ancora abitato. Le scolaresche erano piene, la mia generazione stava crescendo e se ne preparavano tanti altri, quelli di fine anni 50. L’emigrazione comunque continuava con meno frequenza, ma c’erano altri che partivano da soli, chi in Francia, chi in Svizzera, per tornare durante le feste al paese come fu nel caso di mio padre che, dopo essere stato "costretto" per motivi di salute ad abbandonare il Canada, negli anni sessanta emigrò in Francia dove c’era mio zio Vincenzo Fazio per lavorare nei boschi. Tornava a casa per Natale e quello che si guadagnava ce lo mangiavamo durante i mesi d’inverno. Fu così che dopo 5-6 anni di Francia e Svizzera decise nel 1967 di ritornare in Canada. Fu allora che mio padre ci portò con lui. E così arrivò pure per me il giorno che avrei lasciato il paese, quella "via nòva" che s’era allungata fino alla curva "E RU MIERICU" perché la casa di mio nonno Peppino "u Sciualu", che sta proprio alla curva, la comprò mio padre dai suoi fratelli e diventò nostra. Il destino di mio padre volle che cessasse di vivere il 24 Agosto del 1978, due mesi dopo la nascita di mio figlio Francesco. Ecco come anch’io mi trovo emigrato in Canada. Quella lunga e triste emigrazione di massa dal nostro caro paesello, incominciata con flusso maggiore ai primi anni 50, continuò finché non mi vide emigrare anche a me.

3. Purtroppo, a causa dell’emigrazione, il ruolo di mio padre nei miei confronti fu relativo. Quando lasciò il paese per la prima volta nel 1951 avevo 3 anni e a quella età si possono ricordare ben poche cose. Quando tornò nel 1956 fu per me come se lo conoscessi per la prima volta. Ricordo che dormivo nel soffitto con le mie due sorelline perché mia mamma, per accogliere il suo amato sposo adeguatamente, trasformò quell’unica grande stanza che serviva da cucina e camera da letto, in un’unica stanza da letto e di conseguenza le mie sorelline ed io fummo SCASATI in soffitta. Una sera di luglio mi ero appena addormentato quando mi sento chiamare per nome: Peppi’. Apro gli occhi tutto spaventato e vedo davanti a me, chinato sul letto, mio padre, con la piccola luce “cecatella” che gli illuminava il viso grande e i capelli alti pettinati alla mascagna con i baffetti alla Hittler. Gli dico: tu sei papà? Lui mi abbracciò e mi chiese: quanti anni hai? Otto, risposi. E mi pose nelle mani una cioccolata. Mi riaddormentai con la voglia di rivederlo il mattino seguente con la luce del giorno. Dovetti abituarmi a vederlo tra di noi. Sapevo che era mio padre ma era NUOVO per me. Si tratteneva con le mie sorelline. Luisa la più grande e Isabella di appena 5 anni. Rimase con noi ben poco per poi fare ritorno in Canada. Mi ricordo che prima di lasciarci disse a mia mamma: Catari’, questa volta appena sarò in Canada vi farò il richiamo. Invece non fu così. Dovette andare in Francia dal SUD ONTARIO per motivi di salute. Così il sogno di emigrare come gli altri compaesani, svanì.

4. Anche se la presenza di mio padre nei primi anni della mia fanciullezza fu breve per i motivi sopra citati, quella dei miei zii fu più influente perché vivevano a Castelsilano e di conseguenza li avevo sempre vicini. Gli zii Vincenzo e Antonio Fazio fratelli di mio padre fecero la loro parte ma, avendo dei figli più o meno della mia stessa età, la loro influenza nei miei riguardi era di ordinaria amministrazione. Zio Rosario si preoccupava di non far mancare niente alla mamma, come la legna per l’inverno e di far macinare la farina al vecchio mulino. Zio Vincenzo Foglia, invece, faceva a noi quello che faceva alla sua famiglia, alla zia Rosinella e alle cugine Teresa e Maria Luisa. Ricordo che aveva una mula e che se ne serviva per i lavori di campagna. Un giorno mi domandò di andare con lui perchè mi vedeva senza far niente sempre a giocare “all’orticella”. Era solito andare alla “cannamasca”, localita’ sotto le “carcarelle”. Lo aiutavo a tenere la mula mentre la caricava. Non era niente, ma mi serviva a stargli vicino. I nostri rapporti erano come quelli di due amici. Fu la stessa cosa con zio Peppino Marasco. Con loro vicini, la mancanza di mio padre sembrava meno triste. Ogni tanto quando mi scappava qualche parolaccia facevano finta di darmi una sberla. Come faccio a non ricordare quando mi metteva in ginocchio?? Mia mamma non ce la faceva a controllarmi. Tornavo a casa sempre con i pantaloni stracciati e i gomiti graffiati per tutte le volte che salivo sugli alberi. Anche se i nostri rapporti erano buoni, un giorno zio Vincenzo Foglia fece il duro con me. Stanco delle lamentele della mamma, incapace di governarmi, mi chiamò con la scusa che voleva essere aiutato a fare qualche lavoretto nella stalla, mi si avvicinò e mi fece: senti Peppi, mettiti in ginocchio e ci resti finché non te lo dirò io di alzarti. Ricordo che stetti almeno più di mezz’ora in quella scomoda posizione. Mia mamma che era vicina di casa venne dalla zia e, con grande sorpresa, mi vide lì tutto annichilito. Toccata da quel sentimento di mamma verso un figlioletto mi incoraggiò ad alzarmi. Volevo farlo subito, volevo alzarmi, ma con sorpresa di mia mamma le risposi: se non me lo dice zio Vincenzo non mi posso alzare!! Lo zio che stava là ed aveva ascoltato tutto capì che mi era bastata la lezione e mi ordinò ad alzarmi. Non l’ho mai odiato per questo, anzi gli volevo bene e la nostra amicizia durò per sempre. Un altro zio con formato amicizia è zio Peppino Marasco. Una volta durante la preparazione della FOCARA mi vide in via Palazzo mentre stavo spingendo un legno troppo grosso e, vedendomi affaticato, mi ordinò di lasciarlo e di farlo fare a qualcun altro. Io non solo non gli obbedii ma gli feci pure il gesto dell’ombrello. Apriti cielo, mi corse dietro e mi raggiunse poco più lontano dandomi una leggera sberla. Capii poi che lo faceva per il mio bene. Giorni fa ci siamo visti tramite la Webcam delle cugine Teresa e Maria Luisa Foglia. Ci siamo salutati e gli ho solo detto: OHI ZI fra poco ci rivedremo!! Ci tenevo ad inserire nei miei racconti questi episodi, grandi persone che hanno influito positivamente nella mia fanciullezza. Grazie cari zio Rosario, Zio Vincenzo e Zio Peppino, vi voglio bene.

5. Dopo aver accennato all’emigrazione di massa, chi restava ancora con i ricordi tristi della seconda guerra mondiale alle spalle, campava alla "meglio meglio". Lavoro duro sui campi, qualche bestiame da governare e custodire, mentre altri si trasformavano in boscaioli e con possenti e forti muli trasportavano la legna tagliata dai boschi alle piccole strade, dove poi veniva caricata, su potenti TRAINI oppure su qualche camion, cosa che era più rara. Tra i boscaioli più bravi e laboratori c’era senza dubbio U BRIGARIARI, che con i suoi numerosi figli, aveva formato una specie di ditta. Quanta legna hanno tagliato. Purtroppo anche se in seguito c’é stato il RIMBOSCHIMENTO, quei boschi non sono stati mai più rinpopolati. Noi piccolini andavamo a scuola. Ciascuno aveva la propria classe qua e la. Allora non esisteva ancora l’Edificio Scolastico. I maestri che ricordo furono Girimonte, Don Matteo (non era mio), che faceva il DITTATORE, lui le faceva filare quelle maestrine. La Salerno già accennata con Peppino Aquila. Sapete benissimo che la VIANOVA non era asfaltata ancora, quindi per noi ragazzini era più facile giocarci ed era molto più transitabile per gli asini, i muli e per i numerosi TRAINI che circolavano regolarmente tutti i giorni. Ma poi venne il giorno, anzi la mattina prestissimo che ancora dormente sentii dei rumori di motori stranissimi, mi svegliai quasi spaventato e chiesi alla mamma: OHI MA’ CHI RE STU RRUSCIU?. E lei mi fa: dormi ancora perché é presto per andare a scuola, sono i trattori che asfalteranno la strada. Altro che dormire, mi alzai e semi nudo, mi affacciai alla finestrella. Ti vedo macchine grandi come le montagne, grossi camion e molto molto rumore. Fu così che Castelsilano dovette dire addio alla sua strada RURALE, rimpiazzata con il più moderno ASFALTO. Il progresso stava scendendo giù anche da noi mentre per la luce elettrica "LA SME" bisognava aspettare qualche annetto ancora. Nel frattempo A LUCE CECATELLA ce la forniva il fiume LESE e quando si otturavano i macchinari, a causa delle foglie, erano guai. E’ MBULLATU L’ACQUARU, dicevano. Tutti al buio e con le candele oppure con REGLIE E LUME. Chi voleva circolare nel paese di notte doveva farla con le famose LANTERNE. Avere l’asfalto comunque per il paesino era un segnale piccolo piccolo di progresso.

6. Con l’asfalto della strada rotabile Castelsilano aveva cambiato aspetto. Con l’odore del bitume ancora fresco e le manine di Peppino Aquila ‘mprascate di QUELLA SOSTANZA NERA, i paesani cominciarono ad abituarsi, come pure i numerosi asini e i carri nel loro passare non sollevavano più quel polverone molto fastidioso che ci entrava in casa. E nelle giornate di pioggia ,non si formavano più le numerose pozzanghere. In quegli anni l’Italia tutta cercava di rialzarsi dalle rovine della guerra (io sono nato dopo), e anche nelle nostre parti il governo cercava di mobilitare gli operai, dar loro delle terre che avessero permesso di coltivare, seminare e continuare a vivere. Ricordo compaesani che si sbraitavano dai balconi nei loro COMIZI. Non ne mancava nemmeno uno. Io stavo in prima fila come un adulto e ascoltavo senza capire niente naturalmente. Quello che ricordo che dicevano VOGLIAMO LAVORO, VOGLIAMO LE TERRE PER COLTIVARE E VIVERE CON LE NOSTRE FAMIGLIE. Una sera, durante uno dei comizi comunisti, una persona a me e alla mia famiglia tanto cara si avvicinò e mi disse: PERCHE’ NON APPLAUDI PURE TU? Ed io gli rispondo: IO NON SONO COMUNISTA. Lui naturalmente ci rimase un pò male. Con mio padre in America come avrei potuto applaudire?? La persona in questione era zio VINCENZO PIRITO. Ci fu la spartizione delle terre e "ALLU SCUARZU" capitò una buona "COTA" anche a mio zio Peppino DE PASQUALE, marito di mia zia Caterina Fazio. Immaginate la gioia dei miei cugini, Domenico, Cciccio e per i più piccoli LUIGI detto MAX, ANTONIO e ROSETTA. Con un mulo e un asino incominciarono a scendere e a coltivare, arare, seminare la terra. Naturalmente anche ad altri compaesani toccò la stessa cosa. Ricordo che il paese finiva poco dopo la casa di Michele Bitonti. C’era del terreno comprato appunto dallo zio De Pasquale e lì decisero di fabbricarsi la loro casetta. Al posto della stalla misero la prima pietra. Io stavo là. Mio zio Vincenzo Fazio reggeva una bottiglia e alla prima PALATA DI CEMENTO la costruzione partì. Ora quella casa sta là, più grande perché con gli anni fu ingrandita. ORGOGLIO DELLA FAMIGLIA DE PASQUALE e di mia zia Caterina!!!! Naturalmente per finire la costruzione bisognava lavorare e anche sodo. Così i miei cugini scendevano ALLU SCUARZU ad aiutare lo zio. Durante la semina e poi alla mietitura, Luigi quando tornava mi raccontava episodi e fatti che lui sentiva dagli adulti. Mi diceva che ci stavano i briganti che dormivano anche nei pagliai.

7. Mentre dormiva nel pagliaio veniva svegliato dall’abbaiare dei cani. Luigi era coraggioso. Ero io che mi spaventavo quando mi raccontava che vi erano dei briganti che cercavano di rubare quello che apparteneva ai poveri braccianti e coltivatori. Mentre il cugino Ciccio, molto più grande di noi, aveva la fidanzatina. Quando veniva al paese non mancava mai di salutare mia mamma. Lo aveva battezzato. Un giorno, durante una delle sue visite, disse: Parrina, ieri sera ho avuto molta paura. Mia mamma, donna che si allarmava per niente gli fa: "per che cosa figliano?". La fiumara era in piena, però io l’ho attraversata lo stesso! E come? Sarina Aquila parte e volevo venire a vederla. Mio padre non voleva, ma io l’ho fatto lo stesso. Mentre stavo attraversando, mi sono sentito prendere dai capelli, forse qualcuno mi ha tirato su ed eccomi qua!! I SANTI TI HANNO SALVATO CARO FIGLIANO!! Io ascoltavo, ma dentro di me sentivo paura. Il cugino Ciccio fece un gesto d’amore verso la sua ragazza. Oggi forse non si fanno più queste cose!! Ora Sarina e Ciccio vivono felicemente insieme da 45-46 anni! Si sposarono in estate, tornando dal Collegio di Roma, mi trovai al paese e partecipai alla loro unione. I De Pasquale avevano a fianco della nuova casa la stalletta per un mulo e un asino. Un giorno, dopo aver abbeverato le bestie al BIVIERE, Luigi e Ciccio decisero di fare una corsa di almeno 200 metri, Luigi con l’asino e Ciccio con la mula: VINSE LUIGI. Già a 10-11 ANNI SAPEVA CAVALCARE!! Con l’asfalto si cominciava a vedere qualche automobile. Capozza, con il suo garage, (poi negli anni il nipote PEPPINO doveva prendere l’eredita’ per diventare un ottimo meccanico!), Giuseppe Lamanna con la sua APICELLA e i fratelli ROTELLA con il cognato CORTESE Antonio, padre di Nicola e di Vincenzo, investirono su mezzi pesanti per i loro lavori di costruzione. Purtroppo oltre ai MUNNIZZARI, che erano a fianco dei Garagi, lungo la stradetta che porta quasi all’ARIA AVENA, c’erano molti ZIMMUNI. Ciascuno preferiva allevarsi il proprio maialetto (con la speranza che nessun malvivente lo rubasse), per poi farlo in salsicce e prosciutti dopo Natale. C’era un’altra cosa importantissima dopo i biviari e cioè IL MULINO, meta di tanti paesani che con gli asini PORTAVANO IL GRANO A MACINARE. Anche le nostre mamme lo facevano, PORTANDO I SACCHI IN TESTA E A PIEDI!! Era veramente SUDATO quel pane!

8. Era veramente sudato quel pane! Dall’aratura dei campi alla semina e alla mietitura, quanto cammino, quanto duro lavoro dei nostri padri, zii e compaesani tutti!! Ricordo che con l’aumento della clientela, la chiamerei cosi, i GUALTIERI pensarono bene di assumere un aiutante con un mulo abbastanza forte che avrebbe trasportato il grano macinato in farina anche nelle VINELLE più pendenti ai vari richiedenti. Assunsero il parente FRANCESCO MARTINO ancora giovanissimo (detto in seguito "u mericano" per il suo passato in California, ora invece Guardia nel nostro paesello). E così la LIVRESON si faceva più in fretta. Purtroppo ricordo un episodio che riguarda il cugino CICCIO u mulinaru. Non so cosa prese al mulo una mattina. Inciampò e, forse spaventato dalla presenza di un gatto, il mulo s’impenna e il povero Ciccio si trova per terra immobile con le mani alla schiena, gridando e piangendo. Io stavo lì davanti, ecco perché lo so! Impotente di fare alcuna cosa, lo guardavo dispiaciuto e addolorato. Nel frattempo accorse qualche vicino di casa e gli prestarono soccorso. Vi ricordate i MUNNIZZARI? E ZIMMUNI? Bene, cominciarono a sparire anche questi. C’era un bel terreno un pò sotto i ZIMMUNI, era llu CAMPU E LEPERA! Chi sa quanti ragazzi ci giocarono, compreso il sottoscritto. Successe che a nostra sfortuna e disgrazia, quel terreno ci fu DEFRAUDATO. Addio campo di calcio.. un giorno vidi delle persone con paletti simili a giavellotti, prendere misure. Era la ditta Angotti che, ottenuto l’appalto, iniziava a preparare le fondamenta per quel grande CAPANNONE che sarebbe diventato L’EDIFICIO SCOLASTICO DI CASTELSILANO.

9. Non più scolaresche seminate di qua e di là. Nessun registro da far firmare giornalmente dai vari professori. Prima che arrivasse il padre dell’amico FRANCESCO CANDIDO per me era un piacere quando mi toccava fare il giro delle classi per la firma. Mi succhiavo almeno un’oretta senza scuola. In via Soprana, in via Sottana con il terribile DON MATTEO, in via Palazzo, ciao cara maestrina SALERNO mia e di Peppino, bella, carina!! ADDIO CLASSI SPARPAGLIATE!! Per forza di cose con L’Edificio Scolastico dovevano sparire sia i numerosi zimmuni, che "u MUNNIZZARU". E così fu. Quei terreni fecero la fortuna dei loro proprietari. Chi lo era già aveva un tesoro. Chi, invece, comprava un lotto per costruirci la casetta, l’avrebbe pagato a peso d’oro. Tutta la striscia che parte dalla curva dei GARAGI fin dove adesso c’è la casa di Ferrarelli, della famiglia FALBO e delle cugine FOGLIA, una volta era piena di ZIMMUNI. In poco tempo si trasformò in centro abitato coi fiocchi, orgoglio dei loro abitanti. Da sopra incominciarono I MAZZEI, I BOSCHI e via via fino alla parente di mia moglie Caterina Marasco e il suo genero Lacaria. Da quel momento in poi se qualcuno voleva ancora allevare il maialino, doveva farlo fuori dal paese oppure sotto u "canalicchiu e ra colla" e allu "canale e fierru". A questo punto il paese prende una certa fisionomia. Gli anni 50 erano alle spalle, ma l’emigrazione, purtroppo continuava. Un po’ di più verso la Francia, la Svizzera, MILANO, TORINO e in tutto il nord Italia. Tra questi i miei cugini De PASQUALE con LUIGI (MAX).

10. A piaceva la scuola piaceva. Il mio svago più forte era il calcio, mio pane quotidiano, e mi piaceva dare la caccia ai nidi di uccelli. Un giorno salii persino sul CIPRESSO DEL CIMITERO VECCHIO. Quando scesi mi trovai tutte le braccia graffiate. Mentre d’inverno avevo la mania delle tagliole. Spendevo molti soldi. Andavo anche con la neve, alla CHIUSA e dove c’erano ancora i ZIMMUNI. Purtroppo qualcuno ci faceva la spia ci fregava le tagliole. E così mia mamma, non potendone più, mi mando dal calzolaio. Il mio caro MARRU LUIGI FABIANO, persona squisita e bravissima con me. Mi portava alla SERRA per prendere i ghiri. Avevo paura sola a vederli. Io ficcavo un palo nel buco dove erano nascosti e lui con una frasca li stordiva. LA CENA ERA PRONTA!! Mentre lo guardavo suolare e cucire le scarpe mi raccontava storielle che poi con la sua fantasia e talento le avrebbe trasformate in FRASSIE!! Mi mostrava come INFILARE LO SPAGO, LUCIDARE le suole. Portavo le scarpe ai clienti e con mia contentezza venivo ricompensato con una piccola mancia. Ricordo che mi fece mettere i vari 10-5-50 LIRE in una apposita scatoletta di legno fatta per l’occasione proprio da lui. Dopo un anno la ruppe con un martello e ci trovammo, udite udite, 345 LIRE. Era fantastico, mi sentivo il ragazzo più ricco del mondo. Diedi i soldi a mia mamma anche lei incredula. Dopo un pò di tempo mio padre dovette abbandonare il CANADA per problemi di salute. Emigrò prima in Francia e poi in Svizzera. Pur avendo ripetuto due anni, nel 1961 fu DON NATALE PALMIERI che venne da mia madre e le chiede se le avrebbe fatto piacere che anch’io partissi come gli altri. Mia madre stava per dire di SI subito, però volle prima l’opinione di mio padre che era in Svizzera. Venne l’OKAY e mi ARRUOLAI diciamo così ai vari MARASCHINO, PANDULLO, LUIGI LAMMIRATI, NICOLA CORTESE (l’unico che poi si fece prete di quella SPEDIZIONE), il compianto Tallerico. Tutti questi andarono chi ad ASCOLI PICENO, chi a BARLETTA, mentre io, mio cugino Antonio Fazio e Antonio Scalise andammo nei PAOLINI a ROMA. Dopo appena 10 mesi la mia vita cambiò dal giorno alla notte. I preti mi fecero un lavaggio di cervello, mi trasformarono completamente. Ero tutto preghiere, amore per il prossimo e soprattutto non più bestemmie e parolacce. Feci 4 anni nella San Paolo. Anni benedetti. Ero discolo. Stavo solo dietro al pallone, salivo su tutti gli alberi che mi capitavano a caccia di ciliegie e albicocche. Correvo dietro agli uccelli, grande mia passione che adesso da adulto mantengo. Ho in casa almeno 5 coppie di pappagallini. I famosi LOVEBIRDS (enseparables). Lasciai il Collegio nel 1965 e, con l’aiuto di mio cugino Gaetano Cortese, feci gli esami di ammissione alle medie di San Giovanni In Fiore. Purtroppo i miei studi fatti nei preti non erano riconosciuti dallo STATO ITALIANO, così dovetti ridare gli esami per i tre anni di scuola media. al 1° magistrale, con me, c’era il compare Domenico Spina. Mi accorsi di avere la passione di scrivere. Nel tema "SUONO DI CAMPANE" la maestra Simonetta mi diede 6 e mezzo. Lasciai la Scuola (il secondo) ad aprile del 1967 e nell’agosto dello stesso anno emigrai per il Canada.

11. Castelsilano non era solo la Vianova o, se preferite, il Corso che mi vide crescere. Altri rioni altrettanto belli sono da considerare. Via Palazzo, Via Soprana e Sottana, le Paganelle, il più rurale, ma nello stesso tempo più lavoratore. Ho ricordi delle Paganelle, ci si andava ogni qualvolta cera una Processione, ma ogni anno un po’ prima di Natale era meta di raccolta della legna che sarebbe servita per costruire la "Fòcara" del Palazzo. Pensate andavamo in territorio dei CHIAZZISI (piazza) per fregargli la legna buona. Le sue case vecchie ma solide erano arroccate a quel fianco. E poi come non parlare della PIGNA che ancora si erge maestosa e che guarda dall’alto tutti i PAGANELLISI come se volesse proteggerli. Ricordo che un po’ per svogliatezza ma molto di più per osservare le ragazzine che dietro la Processione sarebbero sfilate sotto di noi, le osservavamo compiaciuti e quando qualcuna di loro con gesti delle mani ci salutava, per noi era considerata UNA CONQUISTA. Adesso ho un piccolo e poco simpatico ricordo delle Paganelle. I miei zii Rosario Mazzei, Vincenzo foglia e Marasco Peppino (e Rachela) quell’anno ci aiutarono ad uccidere il maiale, Mio padre stava in Canada. Dopo la GRANDE FESTA le zie Rosinella, Franceschina e Carolina, aiutavano la mamma a preparare LA CENA PER LA SERA. Tutti riuniti intorno alla tavola, si mangiava allegramente. le polpette erano una meraviglia, le penne cotte a punto scendevono giù con appetito. Purtroppo anche il vino scendeva giù e, illudendo l’attenzione dei miei zii ,soprattutto quello dello zio Rosario, bevvi un paio di bicchieri di vino puro senza nessuna gazzosa. Finita la cena dissi alla mamma che uscivo un po’ per camminare. Incontrai per caso degli amici che ancora rosicchiavano legna per la focara e mi portarono con loro alle Paganelle. Peppi: mi disse uno: "Ho avvistato NA PERCIA E LIGNA" vicino alla Pigna. Andiamo allora, risposi. Nel frattempo il vino cominciava a fare effetto. Arrivati sotto la Pigna, mi fermai, lasciando andare gli altri. Onestamente lo dico, NON RICORDO PIU’ NIENTE e siccome rimasi fuori casa fino a tarda notte, tutti si misero alla mia ricerca e, forse con le indicazioni date da qualche amico che era con me, mi trovarono a notte molto inoltrata appunto sotto la Pigna. Evidentemente non rimanendo più dietro agli amici, mi fermai e mi ADDORMENTAI. Ogni qualvolta passo di la ricordo quella RAGAZZATA che feci. É il caso di dire come il grande poeta: "CARE MI FURONO LE PAGANELLE".

12. Lasciando le Paganelle e salendo più su troviamo Piazza Rotondo con il suo monumento eretto su un masso grigio di granito ai caduti di tutte le guerre che attira con la sua possente fattura i passanti. Con l’indice della mano sinistra sembra indicare il nemico e incitare ad andare avanti!! Sta la da moltissimi anni a ricordare il sacrificio di moltissimi nostri compaesani caduti nelle guerre dando la loro vita alla cara ITALIA. Di fronte c’é una fontana indistruttibile, un tempo meta di donne con "cati e buttiglioni" di ogni genere ad attingere acqua per uso domestico. Oggi sembra un monumento e ha l’aria di un vecchio stanco e malato! E poi la chiesa una volta attraente sia dentro che fuori. Il suo campanile con la piccola croce che guarda tutto il paese dall’alto. Chi sa quante volte sono salito in alto per suonare le campane. Lo si faceva in TRE. Io preferivo la piccolina. Ricordo che per la fretta di salire mancai un gradino e precipitai giù di almeno due metri. Ne uscii illeso. Purtroppo la chiesa durante gli anni subì svariate modifiche… in peggio direi. Una volta le sue numerose nicchie e le piccole sculture le davano l’aspetto di una vera e ANTICA CHIESA. Purtroppo a causa del tetto malandato si fu costretti a PULIRLA del suo vecchio splendore e fu rimessa a nuovo alla meglio meglio. Tornado anni fa per fortuna ho ritrovato i Santi del lato sinistro quasi tutti al loro posto, mentre con mia grande sorpresa non trovai il grande quadro che raffigurava la Madonna dell’Immacolata Concezione sull’altare Maggiore (bruciato per errore dalle Suore oppure Sparito? MISTERO). In compenso fu fatto un notevole sforzo per presentarla agevole ed ospitante ai numerosi fedeli, con una corale che aiuta con i vari canti ad ascoltare le varie funzioni. Fu detto che in antichità nel sottofondo ci seppellivano i morti. Adesso é tutto rifatto e non c’é più questa paura. Era affollatissima un tempo la nostra chiesa. Servivo la Messa e Don Natale un giorno di Pasqua mi fece pure leggere il Passio. Le donne si sedevano davanti, mentre gli uomini dietro su quel grande bancone o al fianco sinistro, soprattutto i GIOVANOTTI con i fianchi appoggiati ai vari altarini erano più interessati a guardare le ragazze che ad ascoltare la Santa Messa.

13. Don Natale era un bravo prete ma per alcuni versi un po’ invadente. Per esempio mentre faceva la predica non amava che i GIOVANOTTI che si mettevano sul lato sinistro guardassero le ragazze e magari le facevano girare per strappare qualche sorriso. ALCUNE VOLTE LI FACEVA ARROSSIRE RICHIAMANDOLI. A quei tempi L’AMORE (quello con gli occhi s’intende) si faceva o osservando le ragazze andare a Messa oppure impalati di fronte all’abitazione della propria ragazza e aspettare che la poveretta si affacciasse sia per "SCOTULARE U MISALE" sia per dare da mangiare al gattino o alle galline davanti la porta con il rischio di essere rimproverate dai genitori. Ora vorrei spezzare una lancia per Don Natale. Sapete tutti che durante le elezioni politiche, soprattutto quelle comunali, tra vincitori e vinti non c’era buon sangue. Tutta la ruggine che si accumulava durante i vari comizi (purtroppo si vedevano intere famiglie "annimicarsi"e portarsi odio per anni e anni!!). Don Natale, essendo prete, doveva starsene fuori, invece non so come avvenne, ci furono parole poco cortesi con il mio ex-professore e grande juventino come me, Dino De Vuono. Da buon credente andava regolarmente in chiesa per ascoltare la messa. Era il giorno delle Palme e, al termine della sua predica e con l’incredulità di tutti, DON NATALE afferrò un ramoscello d’ ulivo e diresse verso il Professore Dino che stava appunto seduto sul quel famoso bancone. Don Natale porse il ramoscello al Professore e lui, compiaciuto e con molto garbo, lo prese, SI DISSERO POCHE PAROLE e PACE FU FATTA. Un gesto che commosse i presenti e chi non c’era se ne rammaricava per essere mancati a quella meravigliosa scena. Molti erano i Santi che si festeggiavano durante l’anno, ma quello più famoso e importante era il 6 Novembre: SAN LEONARDO. Ricordo che il paese si popolava per l’occasione. Venivano fedeli dai paesi vicini, da San Giovanni in Fiore, Cerenzia, Savelli e Caccuri. Loro lo facevano per VOTO. La piazza si trasformava. Bancarelle dappertutto. Era festa. Noi più piccoli non stavamo nelle pelle. Con un po’ di gelosia guardavamo i ragazzi più benestanti che si facevano comprare dai loro genitori i giocattoli più costosi. Dalle macchinine Ferrari ai trenini, ALLI RRUMMULA COLORATI che facevano gola a tutti. C’era chi vendeva frutta, i KAKI’ erano i più richiesti. La banda musicale che entrava nel paese di prima mattina suonando ci svegliava tutti. Saltavamo dal letto e in fretta e furia andavamo dietro a loro per tutto il paese. I più grandi facevano a gara per portare il Santo e anche per farsi notare dalle ragazze. Un’altra occasione per guardarsi.

14. Durante la processione alcuni volontari con quelle sacchette colorate e le immaginette di San Leonardo in mano raccoglievano le varie offerte. Ricordo che quell’anno era presente mio padre, era appena tornato dal Canada. Il professore Torchia gli si avvicina, lo saluta e gli fa: Franci’, abbiamo alcuni musicanti da sistemare per pranzo (a proposito la banda era quella di Caccuri). Vorresti prenderne uno? Mio padre con il suo sorriso amichevole gli rispose: Senz’altro Professò! Ci capitò una brava persona, timida. Bene, questo signore, dopo un breve incontro, conobbe e sposò Antonietta Segreto che abitava un po’ più sopra di casa mia, la figlia di Luigi del palazzo. Ecco fin dove arriva il destino!! La festa di San Leonardo era sentita da tutti, piccoli e grandi. Ciascuno tirava fuori dal guardaroba il vestito più nuovo. Mia mamma mi conservò un paio di pantaloni di velluto fatto cucire apposta dalle mani magiche di mia cugina Chicchina Gangale. Quel giorno mi fece indossare appunto quel pantalone, con mille raccomandazioni: Stai attento a non macchiarlo e non ti sedere per terra!! Insomma quel pantalone doveva ritornare nel baule da dove era uscito quasi più nuovo di prima. Quante cose si potrebbero dire sulla chiesa, i fedeli e le tradizioni paesane. E, trovandoci in PIAZZA, come non parlare delle BASULE ? Pietre sognate e sospirate da ogni emigrante. Patrimonio indistruttibile del paese: "EH CHILLE BASULICCHIE" disse un girono Battistino a Milano incontrando un altro nostro compaesano. Notate quanto amore emana questa espressione. ‘E BASULE le portiamo nel cuore perché ci hanno visto tutti camminarci sopra, saltellare e contarne i vari pezzi dalla curva E RU CANALE ALLA SACRESTIA!! Stanno ancora là per fortuna. Grazie ai due bar di Gabriele e Di Bongioco, (Lamanna), si potevano vedere tanti nostri compaesani. Svago meritato per chi durante il giorno aveva lavorato duro nei campi o al Rimboschimento. Noi ragazzi non eravamo ammessi. Potevamo solo andare a comprare qualche gelato o torrone. Chi invece non amava gli schiamazzi si accasava sotto una CAGGIA e, seduto ad una scala, ci si scambiavano opinioni con altri amici. Ma cos’era questa Caggia? Era l’ALBERU E BAGGIANU, grande quanto una quercia. Avrebbe avuto orecchi ed occhi quest’ albero tanto caro e sospirato a chi é partito per sempre dal paese e chissà quante cose avrebbe detto!! Testimone di pianti alcune volte profondi da parte di chi, salendo su una macchina, si staccava dal petto della mamma, del padre, del fratello e sorella per andare lontano alla ricerca di nuove speranze e per un futuro migliore. Anche A CAGGIA per fortuna sta là.

15. Lasciando la cara Piazza non senza malinconia, salgo verso la via Soprana. Prima di arrivare alla bottega di TOTINO c’era NU TRAPPITU con due mole giganti fatte girare da due forti asini. Un po’ più in la negli anni i Gualtieri (ancora loro) costruirono la famosa PRESSA in VIA COLLA. Arrivando davanti alla casa di Ferdinando, a destra c’era il TELEGRAFO di DON BIASONE. Quanti trattini e punti dell’alfabeto MORSE ha tirato giù, con notizie buone e meno buone. Unica maniera più rapida per comunicare. Alla faccia degli SMS di oggi. Entrando nel VAGLIU mi rivedo alla quarta elementare con un professore. Indovinate con chi? Il POETAdel nostro paese TEODORO TORCHIA. Professò vi ricordate le stornellate di Claudio Villa e di Luciano Taglioli che ci faceva ascoltare tra una lezione e l’altra?? E le FICUZZE CHI IETTAVARI ALLA CAPU E L’ATRI SCULARI? Chi é stato? DICEVATE… Chinne sacciu professò RISPONDEVO. E quantu cosicelle avimu fattu. Professò conservo ancora quei tre libri di raccolte di poesie che mi regalasti durante i miei soggiorni a Castelsilano. Sono: REGLIUZZE E LUME, U FOCULARU, E POESIE, IL CANTO DELLA SPERANZA. Le conservo gelosamente. C’é una dedica che mi fece e, CON ORGOGLIO e NOSTALGIA ve la leggo professò: AL MIO CARO PEPPINO FAZIO MIO EX ALUNNO PREDILETTO, UN UOMO DI SUPREMI VALORI DELLA VITA, CHE ONORA IL SUO PAESE NATIO ANCHE ALL’ESTERO, CON TANTO AFFETTO PATERNO, TUO TEODORO TORCHIA, CASTELSILANO AGOSTO 1980. Ho pianto ancora e ancora Professò! E per combinazione mi trovo davanti proprio a casa, vi ricordate la sala dei comunisti di fronte alla fontana? La sera si suonava e, accompagnati da valzer, tanghi argentini, i nostri bravi compaesani ballavano tra di loro. E le mogli, le ragazze? Ma no, loro dovevano stare a casa, così si usava. Qualcuno direbbe: cose d’ALTRI (mondi) TEMPI. Prima di arrivare alla FOSSA ARINA passo davanti alla casa e MARRU TURU, non so molto di quest’uomo ma qualcuno ne parlava a bene. Eccomi Savelli che si presenta ai mie occhi lontana, con le sue case allineate che scendono verso il basso e formano una lunga striscia. Abbasso gli occhi e rivedo il campo sportivo. Dopo essere stati ESTRADATI dal campo di Lepera, ci eravamo arrangiati alla curva del cimitero vecchio. La curva più un pezzo di terreno a fianco (c’era pure un vecchio trattore abbandonato) però ci bastava per fare le nostre belle partitelle di calcio. Can Matteo Piperio, Pisurera, Attilio U LUPU E RI LIGNA (chiamato così per la sua abitudine a giocare sempre vicino la legna) e tantissimi altri. Finalmente l’amministrazione di Gaetano Cortese, ordinò di sterrare quel pezzo di terra e consegnarcelo come campo sportivo. E qui ci giocai i vari tornei del 75-76- e dell’80.

16. Guardo un po’ più lontano e vedo una meraviglia: L’ARCA DI GIOVANNI GIRIMONTE costruita da lui stesso e nella quale conserva i suoi segreti e le sue opere con accesso proibito per tutti. Solo dopo la mia morte si potrà entrare, disse. Parole dette con autorità che ciascun paesano rispetta. Vedo le strade che portano alla CHIANTUNERA, alle varie COTE. Quella non asfaltata porta a MISURERA. Ecco che gira come un serpente con le sue curve. Rivedo il rimboschimento ancora giovane. I primi anni sessanta ci andavo tutti i giorni. Allora era proibito portare le CAVALCATURE, allora verso le 3:30 di ogni giorno prendevo il mulo senza sella (SIGGI si chamava) di zio Peppino Marasco e gli andavo incontro. Lo zio dopo una giornata di duro lavoro sotto il sole cocente apprezzava il mio gesto. Ci mettevamo a cavallo tutte e due e via. MANTENATE PEPPI, mi diceva. Ricordo che dopo una corsa tornai a casa con due ROSETTE alle pacche e potete immaginare il bruciore in quei giorni. Faccio un il giro e mi trovo davanti al municipio. Altro monumento di Castelsilano. Costruito alla fine degli anni 50, là ancora al servizio dei compaesani. Mi trovo alla Colla. Ci andavo spesso a prendere l’acqua a mia mamma che soffriva di stomaco. Dicevano che quell’acqua era MOLLA. Cammino e vedo dove una volta erano i GARAGI E RI RUTIELLI. In uno dei suoi muri lessi questa frase: CASINO NON FA TESTO, L’ITALIA E’ COMUNISTA. E POI ANCORA: LA POLITICA NON M’INCANTA, IO VOTO PALANCA!! Grande giocatore marchigiano che militò nel Catanzaro per molte stagioni. Dietro c’era LU VAGLIU E GIOMA, altro posto dove mi vide giocare e passare altro tempo della mia fanciullezza. Era un posto dove si allevavano molte galline. E a mala pena riuscivamo ad entrare nei pollai e filare via con 3-4 uova (eravamo anche ladruncoli!!). Salgo una salita e mi ritrovo in via Palazzo. Il mio territorio insieme alla via nova.

17. Passando dalla Via Soprana tralasciai di menzionare una cosa molto importante: U CINAMU E RU PAUNE. Altro svago per i più adulti con proiezioni di film e qualche documentario. Purtroppo anche quest’altro PEZZO SCOMPARVE MOLTO PRESTO. Ritornando in Via Palazzo, il mio RIONE, la prima cosa che osservo con molta nostalgia é lo spiazzo dove si erigeva la focara. Posto strategico tra le case di Nicola Pecorella e quella dello zio Rosario Mazzei. Alcune volte c’erano delle discussioni sulla DISTANZA. Il Nicola puntiglioso, quanto mio zio, prendeva il suo metro e decideva la distanza che bisognava rispettare tra la sua casa e la FOCARA, mio zio a sua volta faceva altrettanto. CHI SI DOVEVA ACCONTENTARE? PER FORTUNA MOLTE VOLTE SI ARRIVAVA AD UNA COMUNE INTESA. Devo precisare che le nostre FOCARE erano immense, niente a che fare culli muzzunielli chi fanno oggi. Mio zio Rosario ebbe un giorno la sorpresa della sua vita. Un nostro compaesano appena compratosi un grosso camion e senza la dovuta esperienza spinge il suo mezzo involontariamente e sbatte sul lato sinistro della sua casa, sfondandone un bel pezzo. La casa per sfortuna dello zio era stata da poco riparata. Ci furono discussioni non senza veleno e rabbia da parte di mio zio. Con comune accordo chiusero il caso, ci misero una pietra sopra e il muro fu riparato. Ricordate i forni? Ne avevamo pure noi uno (anzi due). Lo dirigeva Serafina De Vuono, chiamata benevolmente SARAFINELLA. Mamma di zia Teresa Mazzei e di Marietta Piccolo. Zia Teresa vive qui a Montreal, mentre la povera Marietta é deceduta qualche anno fa. Zia Teresa fu mandata giovanissima in Argentina a LA PLATA chiamata dallo zio Giovanni Mazzei. Si sposarono e con l’unica figlia Fina (Serafina) vennero nel 64 a Montreal. Ci vediamo spesso con la zia. Ho voluto menzionarla perché lei, come tantissime altre nostre compaesane, affrontarono negli anni più tristi l’emigrazione, con sofferenze, distacco atroce dai propri cari e mille difficoltà di ambientamento nelle nuove terre. Quante tonnellate di frasche ha bruciato in quel forno la SERAFINA. SEMPRE IN MANO QUELLE LUNGHE PALETTE E DAI BOSCHI VICINI PORTAVA GRANDI FASCI DI FRASCHE IN TESTA. Con la menzinella e NU MACCATURU PER ASCIUGARSI I SUDORI. Donna laboriosa, un passato pieno di sacrifici e umiliazioni per crescere con dignità le sue bellissime bambine! Il forno era un via vai di gente. Ricordate il MULINO?, con lo stesso sacrificio si affrontava lo sforno del pane, ricompensa per il duro lavoro. Ritorno in via Soprana perchè mi sono dimenticato di una cosa. L’asilo delle suore laboriose e devote. Avevano in consegna alcune Orfanelle tra le quali Immacolata di Cerenzia, Teresa di Torre Melissa e Silvana. Andavamo a vederle dal di dietro della proprietà di Lepera. Si affacciavano alle finestre e ci salutavano. Maraschino si prese Immacolata, io Teresa e Pandullo Silvana. Erano le nostre fidanzatine. Piccoli bambini e bambine con grembiuli e collari bianchi e celesti venivamo accompagnati dai nostri genitori all’asilo. Spesso si mangiavano fagioli e cannaruazzi e ci fu di grande insegnamento. Giocavamo nel cortile sotto l’attenta sorveglianza delle suore. Ma per loro sfortuna un giorno non fecero in tempo ad afferrare un bambino che cadde nel pentolone della pasta pieno di acqua bollente e lo portarono via. Si seppe solo dopo che era stato ustionato alle gambette e al culetto.

18. Di forno ne avevamo un altro. Vale la pena parlarne. Lo gestiva A CARDIELLA, altra donna laboriosa e instancabile, anche lei per le campagne alla ricerca del fascio di frasche che si caricava sulla testa. Proprio di dietro c’era la nostra classe. Verso mezzogiorno, all’uscita si sentiva quell’odore fragrante di pane appena sfornato. Era una delizia, affamati com’eravamo. Un giono alla povera Cardiella capitò una cosa incresciosa: era il periodo che in cui piantando le antenne della linea elettrica. Di fronte la casa dei Gualtieri c’era una buca lasciata irresponsabilmente senza coperture. La poveretta che aveva pure difficoltà con gli occhi, mise un piede dentro il famigerato buco e si spezzo la caviglia! Destino atroce, perché dovette restare immobile per un bel po’. Il forno ne esigeva la presenza. Un saluto caro lo mando a suo nipote Peppino Drago, amico di classe e partecipe ai miei vari giochi da ragazzo, perché vicini di casa. Vi ricordate di Giuseppe E L’UAGLIO? Grande lavoratore. Partiva di notte e tornava di notte! Con il suo 15 girava tutti quei paesini per proporre i suoi prodotti. Abitava giustamente a fianco del forno. Quando arrivava la sera i fari del suo 15 illuminavano tutto il tratto di strada che andava dal suo garage fino alla curva del medico. Mia mamma che veniva avvertita dal fascio di luce dei fari lunghi, diceva: "E' arrivatu Giuseppe e l’uagliu. Salgo la rampa che porta verso I CRUCI, mi soffermo e do un’occhiata a quella casa (vecchia?) che un tempo passato fu la FUCINA, la falegnameria di MASTRO GINO TALLERICO esperto falegname e maestro che insegnò il mestiere a tantissimi nostri compaesani. Non vorrei fare errori, ma ricordo il povero Sarafino suo nipote e i cugini Serafino ed Enzo Gentile. Arrivato alli CRUCI, e QUI MI SOFFERMO guardo quelle croci e immagino intorno tantissime donne, mentre una bambina sta recitando l’ultima STAZIONE: GESU E’ CROCIFISSO. Io facevo il GESU’ con una piccola croce sulle spalle, una corona in testa e una tunica ROSSA. Altro commovente bagaglio della nostra fanciullezza. Faccio il giro non senza dare un’occhiata nel cimitero (vecchio). Guardo quel cipresso che da l’aria di toccare il cielo con la sua cima. IO CI SON SALITO SU’, MI DICO CON ORGOGLIO. Salgo fino allu cozzariallu e Ra Pulice. Do uno sguardo verso la CHIUSA della nonna Luisa a Chichirotta, altro luogo che mi riporta lontano nei ricordi. Ho fretta, vorrei arrivare in via Sottana attraverso il Corso alla famosa via nova. Arrivo alla fontana nella curva di DE BIASI. Uno dei Bartilotti, il mezzano credo, compratosi una moto e inesperto anche lui, cosa fa, non prende la curva e va a sbattere alla fontana! Risultato: UNA GAMBA ROTTA!! Ho fretta ho detto, voglio arrivare a casa. Pasquale u furgiaru sta là con un paio di bestie da ferrare, lo zoccolo rosso fuoco prende la misura e calza le buone bestie. Anche le FORGE NON CI SONO PIU’, NON SI SENTE PIU’ QUELL’ODORE DI CARBONE E NON SI VEDE PIU’ QUEL FUMO CHE ESCE DALLA FUCINA. NESSUN RUMORE DEL MARTELLO CON L’INCUDINE. TUTTO TACE. Giro a destra, sono in via Garibaldi n. 15. C’è una fontana: U CANALE E CIARIELLU, CARMINATONI BATTE LA SUOLA e LO SALUTO: CIAO GIOVANNI, sono a casa, quella casa che mi ospiterà quest’estate. (2009!)

FINE

Peppino Fazio

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